L'aquila reale

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Loris_Malfoy
view post Posted on 14/6/2007, 16:13




L'Aquila reale


Al di là del suo grande rilievo naturalistico l'Aquila reale è universalmente considerata un simbolo di forza e di dominio, tanto che molti Paesi si sono appropriati della sua immagine per rappresentarla sulle bandiere o sugli stemmi. Onorata dai poeti, sovrana incontrastata delle più alte vette, così da meritare l’appellativo di “regina delle montagne”, l’Aquila è nella mitologia messaggera di Zeus, e per di più custode dei suoi fulmini (gli indiani nordamericani la chiamavano "l'uccello del tuono"). Gli Jowa ponevano fine alle loro danze di guerra con il "ballo dell'Aquila", simboleggiando movimenti e versi ad imitazione del divino uccello (Baumgartner, 1988) mentre i Pueblo degli Stati Uniti sud-occidentali mantenevano l'Aquila reale, l'aquila della guerra, per raccogliere le sue penne durante la muta (Burnham, 1991). Gli stessi amuleti indiani presentavano simboli aquilini e le penne d'Aquila ornavano copricapi e diademi. Quando venne presentata l'alleanza a Mosè, l'Aquila rappresentava la protezione e la forza del Dio. Lo stesso Shakespeare nei suoi scritti ricorre molto spesso alla citazione dei rapaci in generale e dell'Aquila in particolare. Anche le immagini pubblicitarie si sono largamente appropriate della figura dell'Aquila. Gli esempi potrebbero continuare a lungo. Scrive W. Fischer riferendosi alle Aquile detenute dai falconieri (in Baumgartner, 1988) "L'Aquila è un animale dalla forte personalità che si situa su di un piano relazionale molto stretto, quasi di uguaglianza con il proprietario. Grazie ad una memoria notevole, è in grado di registrare esperienze negative trasformandole in impressioni durevoli." Riconosce il suo padrone anche dopo anni di separazione ne dimentica sgarbatezze e buoni gesti (Baumgartner, 1988). Il fascino esercitato dall’Aquila con il suo volo planato, che sembra sfuggire alle leggi della gravitazione universale, con la rapidità del suo attacco che coglie la preda con la velocità del fulmine, ha da sempre stimolato la fantasia popolare con le credenze più strane, tra cui quella che concerne il suo nido inaccessibile e misterioso (Pedrini, 1987) o quella che, in tempi non troppo lontani, narrava di un’Aquila dai poderosi artigli che rapiva i neonati dalle culle. Ma, né la connaturata fierezza del rapace, né l’alone di leggenda che lo circonda, hanno potuto preservarlo da una secolare, sistematica persecuzione che è stata sul punto di minacciarne l’esistenza stessa. Se si pensa che l’Aquila (come molti altri predatori) era in tempi non troppo lontani ancora iscritta tra le specie “nocive” da distruggere con ogni mezzo (trappole, fucilate, bocconi avvelenati, distruzione dei nidi, prelievo delle uova, ecc.), ci si rende conto del grande rischio di estinzione che la specie ha corso. Fortunatamente negli ultimi decenni, grazie alle pressioni esercitate dal mondo scientifico e dalle associazioni protezionistiche, molti Paesi hanno adottato provvedimenti per la sua salvaguardia, che è stata ovviamente estesa anche agli altri rapaci. Permangono tuttavia gravi pericoli per la sopravvivenza dell’Aquila reale, derivanti non solo dalle uccisioni di frodo, ma anche dalla manomissione del territorio montano reso sempre più accessibile (leggasi turismo); in tal modo larghe parti del territorio hanno definitivamente perso la tranquillità e la pace, requisiti essenziali per la nidificazione e per la caccia esercitata dal rapace oltre che per il resto della fauna selvatica; una realtà del genere non farà altro che insidiare gravemente la libera esistenza dell’Aquila reale e porrà a repentaglio le ultime vestigia del suo habitat. Scrive a tal proposito Paolo Pedrini (1987): “...E’ una circostanza che va considerata nella politica di gestione e fruizione degli ambienti montani, se non si vuole vanificare nel futuro quanto l’Aquila reale è riuscita a ricostruire, da sola, riparando i danni provocati da secolari persecuzioni”.
E' dunque essenziale per la tutela di specie animali o vegetali, e nel nostro caso dell'Aquila reale, proteggere attivamente gli ambienti nel loro insieme. Ma il mondo naturale potrà avere un avvenire? La risposta parrebbe essere negativa, perché l’uomo è ormai prigioniero di un modello di sviluppo che comporta irreparabili squilibri ambientali ed è, per di più, protagonista di una paurosa esplosione demografica che gli ha fatto superare ormai da tempo il limite massimo del rapporto numero individui-carico ambientale. A ciò si aggiunge che una gran parte della popolazione del pianeta conduce un tenore di vita che comporta l’uso di una quantità enorme di energia nonché il consumo di preziosi metalli che si avviano ad un progressivo impoverimento.
Il degrado ambientale è arrivato a sì alto livello ed i problemi sono a tal punto complessi che, ipotizzare una loro soluzione all’interno di un solo Paese significa consumarsi in uno sforzo velleitario, giacché il degrado è, per così dire, ecumenico e non s’arresta davvero innanzi alle barriere doganali. Infatti è necessario osservare che il degrado non è uniformemente distribuito sul pianeta, in quanto esso presenta una distribuzione che potremmo definire a “macchia di leopardo”; sarebbe comunque una fallace speranza quella che intendesse ricostituire l’equilibrio ecologico generale mediante provvedimenti che curino le “macchie” caso per caso, poiché occorre al contrario che l’influenza negativa esercitata dalle attività umane sull’equilibrio ambientale venga drasticamente ridotta dappertutto.
Occorre poi sgombrare il campo degli studi naturalistici da una pregiudiziale che è di un tale rilievo da assumere il valore di una contraddizione in termini, poiché tale è appunto la pretesa di chi si ostina a considerare il problema ambientale esclusivamente in funzione dell’uomo. L’uomo è una parte, un tassello dell’ecosistema, non è l’ombelico della natura, perciò cade in un grave errore chi subordina la salvaguardia dell’ambiente al primato dell’uomo. Cade in grave errore chi dice, ad esempio, “ se continua la distruzione delle foreste il danno si ripercuoterà sull’uomo”...” se si continua ad avvelenare i campi anche l’uomo ne resterà avvelenato”. C’è insomma il rischio che nei nostri discorsi si ripresenti ognora il nostro inveterato antropocentrismo, tutto e sempre per l’uomo. Occorre ribaltare una siffatta concezione per porre al centro di tutto gli interessi globali della vita sulla Terra (visione olistica). La regola deve tendere a salvare un bosco secolare non per l’uomo, ma per il bosco stesso; alla fine anche l’uomo se ne avvantaggerà, ma sarà un riflesso, non lo scopo di quel salvataggio. La wilderness deve essere preservata per il suo valore in sé! Scrive a tal proposito Franco Zunino: ".....L'uomo deve rispettare la natura per il suo valore in sè, e deve sapersi tirare indietro non appena la sua presenza vi incide negativamente, non trovare cavilli e rimedi provvisori per giustificare la necessità o, peggio, il 'diritto' della sua presenza".
Le nostre azioni distruttive sono molteplici e quasi mai si comprendono appieno le implicazioni connesse agli interventi che turbano l’equilibrio naturale: se ad esempio l’uccisione di un’Aquila reale da parte di un bracconiere costituisce una drammatica ferita all’ambiente, una turbativa ancora maggiore è insita in quegli atti che, nel modificare l’ambiente in sé stesso, determina, col tempo, la scomparsa di tutte le Aquile nel territorio esaminato. Queste considerazioni sull’Aquila reale ci portano a riflettere ancora sull’interconnessione dei problemi ambientali. In natura non esistono fenomeni vitali che esauriscono in sé stessi la ragione di essere; tutti i fenomeni sono concatenati tra loro, un po’ come accade per le singole scansioni musicali di una sinfonia. Tenuto fermo tale principio, è del tutto intuitivo che in un siffatto concerto naturale l’assetto territoriale eserciti un’incidenza che sovrasta gli altri fattori, a simiglianza di quanto accade col “leit-motiv” di un testo musicale.
In natura ogni specie svolge la propria parte all’interno di un processo dialettico che tende al conseguimento di uno stato di equilibrio; questo non è ovviamente perenne, ed ha in sé stesso la capacità di assestarsi sui parametri che via via si andranno definendo. E' da notare che ogni singola specificità biologica, allorché entra nel processo evolutivo che determinerà il punto di equilibrio dell’ecosistema, assume un suo ruolo ben definito. In teoria anche l’uomo dovrebbe partecipare al processo evolutivo a parità di diritto con le altre specie, sia animali che vegetali, ma ciò in realtà non accade perché l’uomo, a causa del suo sviluppo intellettivo è, tra l’altro, in grado di modificare e stravolgere l’assetto del territorio mediante opere gigantesche, come - ad esempio - le dighe che sbarrano i fiumi, le autostrade lunghe migliaia di chilometri, il prosciugamento dei laghi, la costruzione di città; a ciò si aggiunga che, forte della sua sofisticata tecnologia, l’uomo ha la possibilità di sterminare, nel volgere di un breve arco di tempo, qualsiasi altra forma vivente. L'uomo è dunque uscito dall'armonico rapporto con le risorse naturali e, autonomamente, ha accresciuto la propria popolazione e le proprie necessià a totale scapito della natura.
Da queste considerazioni appare chiaro che, attesa la estrema gravità del degrado ambientale, occorre intervenire radicalmente, senza compromessi, ponendo la salvaguardia dell’ambiente in posizione preminente rispetto a qualsiasi altro interesse; ciò può essere conseguito solo attivando una diversa corrente di pensiero che ha alla base una volontà opposta a quella attuale: quella di conservare. Ma solo se si acquisisce nella coscienza questa nuova forma mentis, si potrà veramente proteggere la natura e quindi in fondo anche noi stessi, altrimenti nessuna legge o coercizione impositiva potrà garantire una vera e reale salvaguardia dell'ambiente. Fin quando non considereremo per esempio un bosco o qualsiasi altra risorsa naturale come qualcosa di "unito" a noi e al tutto, nessun risultato o protezione di un territorio avrà valore e sopratutto concretezza.
E' triste doverlo ammettere, ma l'impatto che l'uomo esercita sul territorio è in drammatica contrapposizione con le esigenze dell'economia naturale (che domina è sempre l’economia umana). Sarebbe auspicabile pervenire ad una sostanziale riduzione della pressione demografica, ma un tale auspicio si colora purtroppo di folle utopia. Ridurre drasticamente la pressione demografica: un grande atto di altruismo verso la natura (ma anche verso noi stessi), è questo il precetto che ognuno di noi dovrebbe imparare a memoria, ma sappiamo bene che l'invocazione ha poche possibilità di essere ascoltata. E' inutile discutere sulla riduzione dei consumi, sull'inversione delle tendenze o sul controllo dell'inquinamento: sono solo parole che vanno via con il vento. La realtà è un crudo “aut-aut”, o si ridimensiona l'uomo o la natura. E' l'uomo che deve addattarsi alle esigenze della natura e non viceversa. La natura deve essere salvata e rispettata per il suo valore in sé, non per un nostro interesse, materiale, spirituale o etico che sia.
Fin quando l'umanità persevererà nell'attuale modello di sviluppo, gli animali selvatici vedranno ridurre il proprio spazio vitale giorno dopo giorno per fare posto al "signore uomo" re del creato. “Come i venti e i tramonti, la vita selvaggia era considerata sicura finché il cosiddetto progresso non ha cominciato a portarla via. Ora ci troviamo di fronte al problema se un ancora più alto livello di vita valga il suo spaventoso costo in tutto ciò che è naturale, libero e selvaggio” (A. Leopold).
Solo la totale scomparsa dell'antropocentrismo salverà la vita sul pianeta terra! Ogni altro compromesso sarà destinato a fallire. E ancora “C’è solo una speranza di respingere la tirannica ambizione della civiltà di conquistare ogni luogo della terra. Questa speranza è l’organizzazione delle genti più sensibili ai valori dello spirito, affinché combattano per la libera continuità della natura selvaggia” (Robert Marshall).
All’uomo risale dunque la responsabilità di provvedere alla protezione della natura (perché è l'uomo che la distrugge e quindi è lui che deve conservarla), a meno che non si voglia considerare l'uomo alla stregua di una semplice componente del materialismo dialettico, a cui sarebbe stato affidato il compito di sovvertire l'ambiente naturale tramandatoci dalla biblica "creazione": solo questo potrebbe essere in chiave ironica l'essenza della filosofia antropocentrica. John Muir giustamente asseriva che la “civiltà” non può prescindere dalla wilderness, la natura selvaggia ed incorrotta.
A commento di queste osservazioni vorremmo porre in rilievo, concludendo con l’Aquila reale, che dietro la superba fierezza e l’ammirata energia del rapace si cela in realtà una natura di insospettata fragilità, fragilità che d’altronde si ritrova nell’intero ecosistema, tutto incentrato su un equilibrio casuale estremamente sensibile a tutto ciò che turba “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

SPOILER (click to view)
Biologia, etologia e conservazione
di Mario Spinetti


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Edited by (°Lucy96°) - 14/6/2007, 17:16
 
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sirena_92
view post Posted on 24/6/2007, 01:21




Bravo grazie!Bellissima!Si è decisamente il mio animale preferito...^_^
 
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Loris_Malfoy
view post Posted on 1/7/2007, 09:37




grazie a te :P
 
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maur8
view post Posted on 30/7/2007, 22:26




che poema lorè comunque è molto molto bello
 
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kiarasrk
view post Posted on 13/2/2012, 14:08




è il mio volatile prefrito!!!!!!!!!! è maestosa!
 
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4 replies since 14/6/2007, 16:13   11526 views
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